PGiorgio Chusei Zendrini ha rappresentato con immagini e parole le “Quattro Condizioni” di Lin-chi. Il suo testo si può leggere qui.
Le Quattro Condizioni (definite anche “Stati” o “Misure”) sono state così enunciate nel capitolo X della Raccolta dei Discorsi: “Durante una consultazione della sera il Maestro dette la seguente istruzione collettiva: ‘Talvolta sopprimo l’uomo senza sopprimere l’oggetto; talvolta sopprimo l’oggetto senza sopprimere l’uomo; talvolta sopprimo sia l’uomo sia l’oggetto; talvolta non sopprimo né l’uomo né l’oggetto […]'”.
Taino così commentò il testo:
“Se noi ripassiamo mentalmente le ore della giornata, possiamo vedere come, di volta in volta, noi entriamo e usciamo in qualcuna di queste quattro situazioni. Come si riconosce il momento in cui dobbiamo sopprimere l’uno o l’altro, o tutti e due o nessuno dei due? Per quanto riguarda Lin-chi, egli è capace di entrare e uscire a suo piacimento da tutte le situazioni in completa libertà, ma noi questo, talvolta, non riusciamo a farlo, per cui ci troviamo in uno stato di confusione e facciamo il contrario di quello che ci si dovrebbe aspettare. Che cosa si deve fare? Certamente si deve risvegliare in noi l’attenzione, per cui dedicarsi a un lavoro per certi versi strano: continuare ad accendere un fuoco senza avere gli strumenti per farlo, oppure, avendo la possibilità di accenderlo, mancare di legna da far ardere. È un lavoro certe volte frustante che però dobbiamo fare e che dobbiamo “lasciarci fare”, fino a padroneggiare questa nostra mente che cerca continuamente di andarsene per conto suo“.
Altro tema molto stimolante, grazie, parliamone.
• La mia impressione è che queste siano 4 categorie scalari e non “complementari”, quindi le vedo non in cerchio ma uno sopra l’altro, come la maggior parte degli schemi tipici nel taoismo e buddhismo, utili per definire una gradualità; per esempio i 3 testi chiave di Tung-Shan (I Versi Esoterici – Le Strofe in Tre Versi – La Canzone del Samadhi) dove si tratta delle “5 posizioni” che sarebbero state in uso nella scuola soto e che definirebbero anche nel rinzai i koan “goi”, piuttosto simili a queste “4 Condizioni di Linji”, dove peraltro viene usato proprio la stessa terminologia del tipo “Signore e Vassallo” [vedi: Whalen W. Lai “Sinitic Mandalas: the Wu-wei-t’u of Ts’ao-Shan“].
• Addirittura per capire queste “5 posizioni” sono usati nei commenti gli esagrammi dell’I Jing che, del resto, usa anche Hakuin nel suo “Yasenkanna” da me pubblicato qua: [https://fontanaeditore.com/products/zen-naikan]
• Purtroppo quando si citano questioni metodologiche mahayaniche bisogna rifarsi al buddhismo filosofico come – delenda carthago – quando si pratica gli O-Kyo (zeppi di evocazioni precise) si deve considerare l’apparato rituale esoterico mahayana-vajrayana-tendai, sebbene letto-vissuto-attuato in chiave zen [D.T. Suzuki “Manuale di Buddhismo Zen” ed. Ubaldini]. Tanto per ritornare su questo tema faccio presente che “in chiave zen” mica vuole dire “cantiamo atleticamente ma non evochiamo troppa roba” (resa incondizionata del buddhismo nell’era meiji) o “alla fricchettona” (stile Alan Watts cioè whisky e relax e manco si cantano i sutra) ma come è insegnato proprio nei koan dell’era kamakura, dove il potere che sprigiona dall’intento di un maestro zen si manifesta in modo chiaro, netto, direi misurabile, seppure spontaneo [Trevor Legget “Lo Zen dei Samurai” ed. Ubaldini].
• Ancora sul concetto di “entrare e uscire” mi pare, ma potrei sbagliarmi, che il Maestro lo usasse come fatto di “stile”, quasi in senso teatrale (che comunque resta un’opinione interessante) mentre credo che si riferisca proprio allo “entrare e uscire dal volto” come dice Linji in una sua famosa allocuzione (la mia preferita), che è anche il senso usato da taoisti e dagli adepti della “realtà improvvisa”: uscendo dal volto si è nell’universo in presa diretta, rientrandoci si diventa il “soggetto agente”.
• Concludendo: il Maestro non era un genio della filosofia ma con umiltà, sapendo questo, mi chiese di correggere i tratti del suo commento al Sutra del Diamante che fossero vistosamente errati, anche perché gli studi orientalistici – in alcuni casi – avanzano, e bisogna capire chi dice cose che hanno senso e chi no; fortunatamente potevo consigliarmi col gentilissimo prof. Paul Harrison di Stanford, molto preparato e aggiornato.
• A ben vedere tutto ciò è altra cosa dal risveglio – anche se non è secondario per il metodo e la cultura – e io credo che il nostro Maestro si sia infatti specializzato nella primaria e più necessaria istanza, specializzazione alla quale dobbiamo vari maestri capaci e un figlio degno del suo nome.
Sulla cultura dovremmo vincere la tentazione di accodarci al vuoto esistenziale appecoronato d’importazione, che nulla ha a che fare con la vacuità. Mi pare che lo zen non sia “essenziale/Sung” in attesa di una digitalizzazione e sanitarizzazione cosmiche.
A mani unite
con affetto
Reiyo