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“Beghina” a me?

Nel nostro linguaggio corrente la parola “beghina” ha un significato dispregiativo; una beghina è una donna che mostra devozione e assiduità nelle pratiche religiose ma che in fondo è solo una bigotta, una bacchettona.
Ma non è stato sempre così, tutt’altro; a cavallo del 1300 una beghina francese venne bruciata viva in una piazza di Parigi per eresia; non fu la prima e non fu l’ultima, ma il suo caso ha i caratteri di una testimonianza che può parlare anche a noi, praticanti dello Zen del terzo millennio.
Si chiamava Margherita Porete e di lei non sappiamo nulla: quando nacque, il suo volto, la famiglia, la condizione sociale, gli studi, le letture, e così via, niente. Abbiamo però il libro che scrisse, Lo specchio delle anime semplici, che fu bruciato insieme a lei ma che era già stato segretamente copiato; dopo mille peripezie, è giunto fino a noi ed è stato tradotto nelle lingue moderne, compreso l’italiano (Ed. San Paolo 1994, ristampato da Le Lettere).
Il libro scaturisce da quella che noi chiameremmo un’esperienza spirituale suprema, un’intuizione improvvisa della natura fondamentale della creatura umana e del mondo e della via da percorrere per diventare Uno e “vedere con gli occhi di Dio”.
I temi di fondo della sua visione sono: la distruzione dell’Io, di ogni brama e di ogni appropriazione; la cancellazione di ogni mediazione, in primo luogo Chiesa e Scrittura; l’irrilevanza dei riti e di chi li celebra.
Diventare un’anima vuota, un’anima “annichilita”, per usare le sue parole, è ciò che dà senso all’esistenza.
Quando il vescovo legge il libro avvia immediatamente il processo; le viene chiesto di rinnegare quanto ha scritto, lei si rifiuta strenuamente, la mettono in prigione per un anno (le sarà risparmiata la tortura perché le leggi del tempo non la prevedevano per chi non avesse peccato carnalmente a seguito di pratiche eretiche).
Alla fine della prigionia “rieducativa” le chiedono ancora di abiurare ma Margherita non cede: non può farlo; il suo essere, trasformato dalla comprensione mistica, dalla realizzazione, improvvisa e globale, che non vi è differenza tra la sua anima annichilita e la Divinità (che la si chiami, come fa lei, Dio, o anche Natura di Buddha, o Allah, ecc., a questo livello di profondità di comprensione, che è ben prima dei nomi, è del tutto irrilevante) non le permette alcuna mediazione: così È, punto e basta.
Dopo l’ultimo interrogatorio viene condotta al rogo; sale sulla catasta di legno abbracciando il suo libro, che arderà insieme al suo corpo.
Non c’erano giornalisti all’epoca a raccontare gli accadimenti e nessuna speranza di gloria postuma, per quel quasi nulla che può valere anche oggi; un sacrificio “per la verità”, una testimonianza estrema di fedeltà a quello che si è compreso.
Nel lasciare la nostra sesshin di giugno 2024 possiamo portare con noi l’immagine di questa donna che, mentre il fumo sale e sta per soffocarla, stringe al petto il suo libro e si abbandona insieme a lui alla morte. Il suo coraggio indomito e l’assoluta gratuità del sacrificio lanciano un messaggio universale, al di là del tempo e dello spazio: eliminare, costi quel che costi, ogni alterità per diventare Uno, essere Uno nell’Uno.
Per fortuna, oggi, almeno sulle terre che normalmente noi camminiamo, non si corrono i rischi mortali della beghina Margherita Porete.
Possiamo però trarre forza da questa storia, da questa testimonianza di vita così meravigliosa e tragica, per muoverci nel mondo testimoniando quello che anche noi abbiamo compreso, con coraggio, decisione e umiltà.
Doniamo, con la più assoluta gratuità, ma anche con inesauribile generosità, il gioiello della verità dello Zen che abbiamo avuto la ventura di scoprire dentro il nostro cuore.

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