Alcuni giorni or sono mi sono ritrovato a cena con un amico. Da qualche anno ha oltrepassato gli ottanta, e a oggi si trova alle prese con un problema fisico abbastanza grave; le parole scambiate nell’occasione avevano come tema la morte, come accoglierla e accettarla. Da parte sua vi era una forte apprensione, un’incertezza e una insistente domanda sul come affrontare questo passaggio, a tal punto che mi rivolse queste parole: Zen-dri, dimmi il tuo pensiero. La richiesta mi è giunta ovvia, ma allo stesso momento intraducibile con parole adatte al suo pensare, certo dalla vita viene “morte eppure vita-vita eppure morte” ma, come ci ricordano maestri con le parole si arriva a niente. Caso volle che mi ricordassi un detto francese che l’amico aveva l’uso di pronunciare ogni qualvolta ci si trovava ingarbugliati in qualche discorso sulla nostra pratica di mestiere, quando ci si trovava alle prese con periodi poco soddisfacenti: La vie est dure sans confiture. Così istintivamente gli ripetei il detto e, aggiunsi, che sicuramente avrebbe avuto con sé un poco di quella confettura in una quantità sufficiente per affrontare gli anni o gli attimi che la vita gli stava offrendo, e dissi: “Basta che ti prenda un po’ di confiture e questa ti darà il modo di tranquillizzarti (di addolcire il pensiero della morte…)”.
Giunto a questo punto dovrei fare ordine sulla congruità del detto utilizzato e come questo abbia una connessione con la pratica dello zen. La confettura andrebbe intesa (l’accompagnarsi con la dolcezza della vita) come metafora della ricerca interiore, del senso da dare al vivere umano. Ogni essere umano in qualunque zona del pianeta ha preparato nella storia una specifica confettura, questa potrà essere di mela, fragola, fico, albicocca, ribes, mirtillo, mora, lampone etc. etc. In traslato come sono (lo sono state) le varie correnti mistiche e filosofiche comprese nelle categorie di animismo, totemismo, analogismo e naturalismo. Mi pare ovvio che per preparare una buona confettura sia necessaria una scelta adeguata al proprio gusto, in seguito c’è da raccogliere il frutto ed esercitarsi con pazienza (meglio seguire l’esperienza di chi ha preparato composte prima di noi), avendo cura di sterilizzare al meglio il proprio barattolo interiore al fine di non permettere alle “muffe” di intaccare la composta, in modo da avere a nostra disposizione la possibilità di gustare la qualità delle innumerevoli variazioni di gusto che l’umano può avere a disposizione. Per noi la confiture è stata preparata con gli ingredienti del buddhismo zen, così che, istante dopo istante, possiamo addolcire la nostra vita nella gioia e nel dolore, partecipando al flusso ininterrotto del vuoto forma delle cose.
Certo è che non dovremmo farci incantare dalla chimica artificiale di composte preparate con droghe, alcool e divertimenti effimeri, al pari di una confettura (insegnamenti) prelevata dallo scaffale di un supermercato.
A mani unite, PGiorgio Chūsei Zendrini