Dove si finisce quando la vita finisce? Una delle risposte (più o meno consolatorie) a questa domanda fondamentale è che i nostri atomi vanno a formare nuove strutture, viventi o meno, e che quindi vi possa essere una sorta di “nostra” sopravvivenza. Maurizio Ferraris, nel suo “Imparare a vivere” (Laterza 2024), esprime così i suoi dubbi:
A cosa possiamo aggrapparci per lenire il dolore della nostra inevitabile e (pare) definitiva scomparsa? Sicuramente non alla speranza che di noi sopravviva un puro spirito. Perché ciò che ci individua è il corpo, e consolarci pensando che il nostro spirito, volato via dopo la morte, continui ad esistere è, da una parte, uno sproposito – per così dire – grammaticale, dal momento che lo spirito non ha alcunché di organico, dunque né vive né tantomeno sopravvive. Dall’altra, è un assurdo psicologico, perché non ho dubbi circa il fatto che il teorema di Pitagora, che penso in questo momento, sia destinato a sopravvivere; ma mi chiedo in che modo la sopravvivenza di un teorema dovrebbe confortarmi rispetto alla mia sparizione individuale. Lo stesso vale per un argomento affine all’immortalità dello spirito o delle idee, e cioè quello secondo cui siamo tutti parte di un’unica vita, e la materia che ci compone sarebbe destinata a risorgere in altre vite e sotto altre specie. Anche qui, pensare che le particelle subatomiche che mi compongono, nel momento in cui muoio, potranno riciclarsi in mele, biciclette, scoiattoli, mi consola anche meno della sopravvivenza del teorema di Pitagora. […] Ho sempre trovato illusoria la considerazione per cui, se nulla si distrugge e tutto si trasforma, nessuna distruzione è reale, e prevale la trasformazione. Sapere che nello yogurt che mangio in questo momento ci potrebbero essere degli atomi di mia madre non mi dà consolazione, né per me né per lei, ed è per questo che preferisco non pensarci. Mia madre era mia madre anche per gli atomi che la componevano, ma soprattutto per la forma che questi avevano preso in un organismo e in una esistenza storica. Svaniti l’uno e l’altra, mi sembra che il ripresentarsi di particelle di mia madre nella mia colazione sia testimonianza, più che di una circolazione universale della vita, di un processo di riciclaggio.
Dal punto di vista di un io separato non può non essere che cosí.
E be’ è una lettura interessante di un non problema.
“il dolore della nostra inevitabile e (pare) definitiva scomparsa?”
Dov’è che ti fa male?
“il nostro spirito, volato via dopo la morte”
e adesso che sei vivo me lo puoi indicare?
“non ho dubbi circa il fatto che il teorema di Pitagora, che penso in questo momento, sia destinato a sopravvivere”
e quando non lo pensi muore?
“Mia madre era mia madre anche per gli atomi che la componevano, ma soprattutto per la forma che questi avevano preso in un organismo e in una esistenza storica”
Quale era tua madre, la neonata, la bambina, la donna, la vecchia, il cadavere? E quando una era presente le altre dov’erano?
Qualche giorno fa ho letto di uno psicologo che era riuscito ad ottenere risultati eclatanti nella cura della schizofrenia.
Ad uno che era ossessionato dalla visione dei serpenti aveva riempito la stanza di serpenti di gomma ed un paio veri, ma domestici. Alle sue urla gli ha chiesto “non sono come quelli che vedi ogni giorno?” e quello “no, quelli sono di gomma, questi (indicando tutt’intorno a se’) trasparenti sono immaginari e quei due sono veri!”
Lo psicologo “ah, bene, di quelli immaginari, che sai riconoscere, non ti curare.”