di Eugenio Ghyotan
In questo testo, propongo un percorso, necessariamente incompleto, a partire da brani dei Notiziari del Maestro Taino sul concetto di “stato di grazia” nella tradizione orientale e occidentale.
Il Maestro Taino fa risalire l’inizio del suo percorso che poi lo porterà in Giappone, ad una esperienza vissuta arrampicando sul Gran Sasso nel 1964 pubblicata allora su una rivista di montagna e poi riportata nel libro “Le mani e i piedi del Buddha” [1] ( e citata anche in un video documentario della Rai).
Dopo l’esperienza in Giappone, ritornato in Italia, fondò, come tutti sappiamo, Scaramuccia e oltre che insegnare lo Zen attraverso la pratica della meditazione seduta (zazen), lo insegnò anche attraverso le discipline fisiche che praticava: l’arrampicata, lo sci, il Taiji. Riteneva che era possibile vivere lo Zen, fare l’esperienza di essere uno, anche attraverso la pratica di uno sport o arte che piacesse.
Molti anni dopo nel Notiziario n.172 è ritornato su questa sua esperienza e intuizione, riporto qui l’estratto (il Maestro intenzionalmente sceglieva di scrivere il Taijiquan come Taici):
Il Maestro Taino è stato sicuramente un precursore, non solamente a livello europeo, di questo insegnamento dello Zen attraverso le arti fisiche occidentali e non solo attraverso le Vie (Do) di tradizione giapponese.
L’esperienza di essere uno non è limitata alle discipline sportive, io da adolescente avevo fatto esperienza della bellezza dello studio della fisica, sperimentando momenti di completa immersione e sulla scorta di quella esperienza, dopo aver letto i racconti dei Maestri Zen, ho cercato e poi trovato Scaramuccia ( per fortuna, all’altra scuola che contattai rispose la segreteria… mentre ricordo ancora bene la voce di Taino quando mi diede le asciutte informazioni per partecipare alla sesshin estiva lunga dell’agosto del 1995). A Scaramuccia ho poi visto per la prima volta praticare il Taiji e da lì poi è partito un mio percorso personale che mi ha portato a studiare lo stile Chen andando in Cina molte volte. E sì, nel Taiji ci sono certamente dei principi di movimento da approfondire e realizzare con insegnanti qualificati, tecniche da far proprie, però, come dice il Maestro Taino, il Taiji dà la possibilità, anche a chi ha appena iniziato a praticarlo, di sperimentare l’immedesimazione con il respiro e con il movimento. Recentemente è stato pubblicato un libro postumo di Lou Reed [2], che praticava Taiji stile Chen, da cui traggo questa citazione: “Tai Chi puts you in touch with the invisible power of — yes — the universe. The best of energies become available, and soon your body and mind become an invisible power. ”
Negli ultimi anni mi sto occupando di didattica della fisica, mi appassiona molto, ovviamente in questo lavoro la fisica come disciplina è centrale ma per capire come insegnarla e migliorare l’apprendimento degli studenti, oltre che basarsi sui risultati delle sperimentazioni con le classi da cui si possono trarre informazioni sulle difficoltà più comuni, si attinge a quanto hanno scoperto le neuroscienze [3], le scienze cognitive e la psicologia negli ultimi anni. Così sono rimasto sorpreso qualche anno fa quando ho scoperto le opere dello psicologo Mihaly Csikszentmihalyi, che ha introdotto lo “stato di flusso” [4], che rappresenta un’esperienza ottimale di totale immersione in un’attività. Durante lo stato di flusso, le persone si sentono completamente coinvolte e assorbite in ciò che stanno facendo, perdendo la cognizione del tempo e dell’ambiente circostante, vivendo un senso di gioia e realizzazione. Lo stato di flusso è spesso associato a un alto livello di performance in vari campi. Secondo Csikszentmihalyi, cercare questi momenti di flusso può portare a una maggiore soddisfazione nella vita e a una sensazione di benessere generale. E di questo aspetta parla il Maestro Taino nel notiziario n.173, a partire da una citazione di un testo di una guida alpina.
Le neuroscienze moderne utilizzano una serie di tecniche di neuroimaging, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e altre, che offrono agli scienziati la possibilità di osservare direttamente l’attività cerebrale in tempo reale e analizzare quindi cosa succede durante vari stati mentali, tra cui lo stato di flusso. Si osserva, per esempio, un aumento di attività nelle aree legate all’attenzione, alla motivazione e al piacere. In uno stato di flusso si rilevano aumenti nei livelli di dopamina, un neurotrasmettitore (una sostanza chimica), associato al meccanismo di motivazione e di piacere e che si riscontra anche nei casi di dipendenza ([5]). Un aumento di dopamina rinforza le connessioni neurali (questo è un altro punto importante dalle profonde implicazioni: quando impariamo, cambia qualcosa a livello fisico nel nostro cervello, si costruisce o si consolida una rete di neuroni…).
Ognuno di noi, con la sua pratica (arrampicare, fare zazen, camminare, fare yoga o taiji, ….), ha sperimentato soggettivamente il piacere di praticarla e se l’ha trasformata in un’abitudine quotidiana, ha sperimentato la sua mancanza, anche a livello fisico, qualora non potesse praticarla. Uno dei meriti della mindfulness (degli aspetti problematici non è il caso di parlarne qui) è stato quello di rendere più “facile” e accessibile per i ricercatori conoscere le tradizioni meditative orientali ed effettuare così studi pilota sulla meditazione e sullo stato di flow e sui loro effetti in gruppi di praticanti. Certamente, a livello del praticante esperto potrebbe cambiare poco esserne a conoscenza o meno, ma da tali studi emergono e potranno emergere indicazioni interessanti che gettano una luce su tradizioni millenarie (confermandone o ancor più importante confutandone, eventualmente, alcuni aspetti).
Se si proponesse una educazione in cui gli studenti, coinvolti attivamente, hanno la possibilità di avere momenti di immersione, di stato di flusso, quanto potrebbe essere più efficace l’apprendimento?
E, più in generale, se la nostra società fosse tale che tutti avessero accesso a pratiche e discipline che consentissero di sperimentare lo stato di flusso o di grazia, non sarebbe meglio per il benessere individuale e collettivo?
Bisognerebbe impegnarsi tutti, questa è la mia convinzione, nel mondo relativo, perché questa consapevolezza diventi uno stile di vita diffuso, insieme agli altri (alimentazione sana, esercizio fisico, competenze emotive e scientifiche,…).
Bibliografia
[1] Engaku Taino, Le mani e i piedi del Buddha, Edizioni Scaramuccia
[2] Lou Reed. The Art of the Straight Line: My Tai Chi
[3] Dehaene, Imparare. Il talento del cervello, la sfida delle macchine
[4] Mihaly Csikszentmihalyi, Flow. Psicologia dell’esperienza ottimale
[5] Anna Lembke, L’era della dopamina. Come mantenere l’equilibrio nella società del «tutto e subito»